Articolo di Antonio Floriani *

È negli anni ‘70 del secolo scorso che in Italia scoppia il problema della tossicodipendenza con l’arrivo dell’eroina che, per il suo rapido dilagare, porterà con sé miseria e morte tanto che qualcuno parla oggi di “generazione scomparsa” facendo riferimento ai giovani che a partire da quegli anni morivano per overdose o per malattie quali l’AIDS.

Se inizialmente il consumo di eroina assunta per via endovenosa si concentrò soprattutto tra i giovani che rappresentavano una cultura antagonista alla società di allora, l’associazione tra eroina e ribellione non durò a lungo. Con l’inizio degli anni ‘80 l’uso di eroina si estese nella popolazione coinvolgendo soprattutto (ma non solo) le classi più disagiate e la classe medio-bassa della società. L’enorme stigmatizzazione e criminalizzazione nei confronti degli eroinomani dovuta agli effetti devastanti dell’eroina stessa (fino al 1975 consumare droga era reato in Italia) portò nel giro di qualche anno al diffondersi di uno stereotipo, ovvero quello del “drogato”, del “tossico”, che rappresentava l’immagine fortemente compromessa e degradata del consumatore di eroina. All’utilizzo di tale sostanza, la droga da strada, consumata quasi esclusivamente per via iniettiva (ovvero endovenosa per mezzo di siringhe) erano infatti associati degrado, malattie, reati e contesti criminali. All’estremo opposto vi era invece l’immagine associata al consumo di cocaina, sostanza allora molto costosa e praticamente introvabile in ambienti comuni, immagine che richiamava benessere, indipendenza, ricchezza: era quella dell’uomo d’affari, del ricco imprenditore o del figlio di papà, ovvero di coloro che raggiunto un elevato status economico potevano permettersi il consumo di una sostanza o a scopo voluttuario, o per aumentare il rendimento delle proprie prestazioni lavorative (era comunemente noto che la cocaina, a differenza dell’eroina, “tenesse svegli”).

Tale scenario e l’informazione che ne derivò ebbero un doppio effetto: da una parte portarono all’auspicata riduzione del numero di persone che iniziavano a far uso di eroina; dall’altro facilitarono nei futuri consumatori di droga la ricerca di altre sostanze, diverse dall’eroina, comunque in grado si alterare la percezione della realtà, ma apparentemente, per l’immaginario di allora, meno dannose, quali la cocaina e le sintetiche. Inoltre, la modalità d’assunzione prevalente, quella inalatoria ovvero sniffata, era per nulla cruenta e non richiamava gli scenari degradati tipici dell’eroina. Se all’eroina, non per altro definita la droga di strada, erano associati gli strumenti per consumarla quali siringhe, fiale, lacci emostatici, cucchiaini “bruciati” dalla fiamma degli accendini e setting quali angoli bui di strade, vicoli e scantinati maleodoranti, i quartieri periferici degradati delle metropoli, alla cocaina erano associati contesti conviviali, i quartieri “bene” delle città, uomini d’affari, politici e imprenditori in carriera. Questo panorama, unitamente dalla falsa credenza che la cocaina fosse una sostanza “più pura”, “meno sporca” e che un suo uso limitato potesse non indurre dipendenza, ne favorirono a breve il suo dilagare.

Fu così che con la fine dello scorso secolo e l’inizio del duemila, la cocaina prese sempre più larga diffusione anche per via di un costo progressivamente al ribasso che ne permetteva la commercializzazione in tutti gli ambienti e classi sociali: ecco che anche la tossicodipendenza era diventata democratica!

Se l’eroina aveva inequivocabilmente portato degrado e molti morti, la cocaina sembrava associata ad un’immagine pulita, molto invitante, dei suoi consumatori. L’effetto collaterale maggiormente rilevante associato alla cocaina sembrava essere – e comunque dopo un uso costante ed assai prolungato – la perforazione del setto nasale, tanto che alla sostanza era legato l’aneddoto di un noto imprenditore di cui si narrava che il setto nasale fosse stato ricostruito in metallo prezioso. Non servirono molti anni per capire che la vecchia classificazione che vedeva eroina e cocaina inserite tra le droghe pesanti, ovvero in grado di dare dipendenza sia di tipo fisico che psicologico, aveva un suo perché; eccome se ce lo aveva.

Se già le conoscenze scientifiche degli anni ’80 individuavano nella cocaina una molecola tossica per l’organismo, in grado di dare una fortissima e rapidissima dipendenza, nonché a rischio di danni fisici importanti a livello di tutti gli organi, capace di provocare la morte improvvisa per via dei suoi effetti sul sistema cardiocircolatorio, lesioni a livello del sistema nervoso centrale o ancora l’insorgenza di disturbi psichiatrici, l’esperienza maturata negli anni grazie soprattutto alle conseguenze sui suoi consumatori, ci permette di definire la cocaina e il crack (oggi sempre più diffuso anche in Italia, una volta solo in America) una droga tra le più subdole – e accattivanti – nonché tra le più devastanti presenti sul mercato.

Non solo è palesemente confermata la sua capacità di indurre fortissima dipendenza, di provocare o slatentizzare l’insorgenza di gravi sindromi psichiatriche (non sempre reversibili), ma sono altrettanto vere anche le ripercussioni in termini di degrado personale e sociale che una volta venivano solo in parte associate alla cocaina.

Sembra infatti che quest’ultimo aspetto (degrado personale e sociale) fosse stato nel tempo sottovalutato per la cocaina ed attribuito piuttosto agli oppiacei assunti per via endovenosa, all’eroina in particolar modo, rafforzando il nesso associativo “iniezione endovenosa – degrado” più che “droga – degrado”, illudendo l’allora generazione a rischio di inizio dell’uso di sostanze, che fossero l’eroina e il rituale del buco a determinare la tossicodipendenza e le relative conseguenze.

Alcune ricerche statistiche degli ultimi anni riportano come tra i consumatori di cocaina, circa il 90% ne faccia un uso sporadico e occasionale, mentre il restante 10% ne sia dipendente a tutti gli effetti. Gli stessi studi collocano in una ampia zona grigia le situazioni non del tutto definibili né come consumo occasionale, né come tossicodipendenza, in percentuali molto variabili. Infatti non c’è nulla di più vero che i consumatori di cocaina possano passare in modo assolutamente imprevedibile – e quindi indipendentemente dalla propria volontà – da un uso sporadico e occasionale, ad uno giornaliero e plurigiornaliero; o ancora da un consumo di piccole dosi, a delle vere e proprie abbuffate (le cosiddette “serate”, fino a molti grammi senza interruzione) con relative conseguenze sul piano fisico, psichico e sociale (intese come grave compromissione dei rapporti familiari, sentimentali e amicali, della capacità lavorativa e produttiva, in termini legali, ecc.).

A prescindere dall’attendibilità o meno di tali statistiche (difficile immaginare l’oggettività di interviste o questionari riguardanti l’utilizzo di una sostanza illegale rilasciate da chi ne fa uso), c’è da sottolineare come raramente chi è dipendente dalla cocaina si dichiara tossicodipendente per la natura stessa di una sostanza che induce uno stato di alterazione del senso critico e di realtà. Tra i suoi consumatori meno consapevoli, l’idea maggiormente diffusa è di poter controllare tutto (fino a veri e propri deliri di onnipotenza) e quindi anche la gestione della sostanza. Spesso chi fa uso di cocaina senza essere ancora arrivato all’ammissione della propria tossicodipendenza, afferma di non esserne dipendente in quanto “può smettere quando vuole”, situazione – quella drug-free ovvero di non utilizzo della sostanza, di pulizia per dirla in altri termini – che però non si verifica mai in tali soggetti se non per periodi molto brevi e comunque non duraturi.

Solo una volta giunti alla consapevolezza della propria dipendenza e delle conseguenza che essa ha comportato, dell’ingestibilità di una sostanza non-controllabile, solo allora, spesso dopo aver accumulato molti danni, può iniziare il processo di recupero che prevede il cambiamento del proprio stile di vita e l’astensione completa (ovvero neanche “occasionale”) dalla cocaina. Cammino lungo, spesso corredato di ricadute (più o meno lunghe) e non privo di ostacoli.


APPROFONDIMENTO COCAINA  Articoli pubblicati in questa sezione:
Cocaina 1: diffusione di una droga subdola dagli effetti devastanti
Cocaina 2: l’illusione del poterne gestire il consumo
Cocaina 3: modalità d’assunzione e conseguenze del consumo
Cocaina 4: trattamenti, recupero e motivazione al cambiamento


* Antonio Floriani è medico psicoterapeuta, criminologo, Direttore del Centro LiberaMente di Genova. Esperto in dipendenze e comportamenti d’abuso, lavora da molti anni, a diversi livelli, nel settore. Per informazioni o per fissare un appuntamento, contattate il Centro LiberaMente ai recapiti che trovate cliccando qui o scrivete all’indirizzo antonio.floriani@centroliberamente.it