Di Antonio Floriani *

Ricordo ancora l’interesse col quale, assieme ai compagni di avventura di allora, partecipai al convegno sulle “nuove droghe” tenuto da uno dei massimi esperti in materia. Correva l’anno 1999 e l’argomento più gettonato era quello dell’ecstasy, l’MDMA, delle smart-drugs dai nomi, dai colori e dalle forme accattivanti, che tutto avevano di “smart” tranne che gli effetti. Si contava già il numero degli intossicati dalle pasticche dello sballo, di coloro che dopo una sola assunzione, una sola cala, si erano ritrovati irreversibilmente compromessi, affetti da psicosi, in stato vegetativo e, inevitabilmente, si contavano i morti.

I trend prospettati dai relatori sembravano indicare che da lì a breve, le sostanze più temute fino a qualche tempo prima, l’eroina e la cocaina, sarebbero state completamente rimpiazzate dalle droghe sintetiche perché la percezione, quanto meno tra i giovani e i giovanissimi, non era quella di una droga, di una sostanza fortemente tossica e quindi potenzialmente mortale, ma di un gioco, di un diversivo col quale riempire la noia nel trascorrere una serata.

Gli effetti empatogeni ed entactogeni (termine che imparai allora) rendevano queste sostanze ricercate dai giovani che volevano socializzare, aprirsi, spakkare il mondo, e non isolarsi, abbruttirsi, ammalarsi, come avveniva invece per i vecchi tossici che si sparavano la roba. E poi c’era la modalità non cruenta ma delicata, gentile, discreta, socialmente non invadente, sicuramente più accattivante rispetto al bucare, all’infilarsi una spada in vena, allo smarronare per le piste che segnavano le braccia e le vite dei fattoni.

Tutto il mondo scientifico che si occupava di dipendenze si orientò sul nuovo fenomeno, così come l’interesse dei programmi di prevenzione che era ormai focalizzato sulle droghe del sabato sera che rapidamente aumentavano di numero (oggi si contano circa 670 molecole diverse). Dopo un periodo di lieve deflessione del consumo delle droghe tradizionali corrispondente ai primissimi anni del nuovo secolo, ecco le sostanze di sempre ricomparire, più forti che mai, nel panorama nazionale, europeo ed internazionale. Se l’abbassamento del prezzo è stata la vera motivazione del dilagare del consumo di cocaina, rendendola non più solo la droga dei ricchi, ma di tutti – imprenditori, operai, professionisti, studenti – e di tutte le età – dagli adolescenti ai sessantenni e più – il ritorno della cara vecchia signora, l’eroina, la roba, è sicuramente da imputarsi alla sua più recente e innovativa modalità di assunzione: fumata.

Il traffico delle sostanze segue le più rigorose politiche di marketing: a fronte di un più largo consumo i prezzi si abbassano; meno costa un prodotto, maggiore è la sua diffusione. Così il consumo di coca aumenta, tanto che i suoi metaboliti possono essere rilevati e dosati nelle acque del Po’. La bamba, la bonza viene pippata, inalata, leccata, pucciata; “pura”, in strisce, o basata con il bicarbonato o con l’ammoniaca per essere fumata, mescolata al tabacco o cosparsa su una sigaretta. Una volta che si inizia si va avanti finché ce n’è, ed anche quando è finita, se è rimasto qualche soldo in tasca, ce ne sarà presto dell’altra. Tanta, così tanta, che per farla scendere bisogna ricorrere spesso all’ero, fumata; e alla richiesta di eroina inalabile, il mercato risponde mettendo in commercio una maggiore quantità di brown e di cobret, il cui basso costo diventa un motivo ulteriore di attrazione per i neo-consumatori.

La percezione del rischio associata all’uso di sostanze è un importante fattore determinante la probabilità di sperimentazione e di approccio a qualsiasi sostanza – legale o illegale – da parte dei giovani, soprattutto durante momenti di crisi come l’adolescenza spesso rappresenta. La maggioranza dei giovani percepisce le problematiche correlate al consumo di sostanze, lontane dalla realtà che sta vivendo: gran parte di loro consuma cannabis e beve alcolici, e non sono pochi quelli che hanno utilizzato o utilizzano cocaina, derivati amfetaminici ed eroina.

I neo-consumatori non si identificano con la figura dell’alcolista o del tossico tradizionalmente intesi, non presentano gli elementi fenotipici dell’immaginario collettivo e sono distanti dall’associare le conseguenze cliniche derivanti dal consumo, allo stato di degrado e di emarginazione sociale a cui andavano incontro i ragazzi dello zoo di Berlino o i protagonisti del più recente Train spotting. È ormai lontana la figura del tossico degli anni Settanta e Ottanta, costretto all’eterno vagabondare nella ricerca del primo pusher o di un socio con cui farsi la storia. Si smazza sempre meno in piazza; ci si dà la punta su internet, via sms o con una app. Non si condividono più spade e fondi di fiale: basta un pezzo di carta stagnola per sciogliere e contemporaneamente inalare la brown; non serve più passare in farmacia, tra gli sguardi indisposti dei clienti, per elemosinare un’acqua e un’insulina. Ora, senza nessun sbattone, basta una stagna – e pochi secondi – per sentire di stare nuovamente bene. Per qualche ora, almeno. Non importa quali conseguenze ci saranno e quanto devastante potrà esserne l’effetto sul fisico, sulla psiche, nelle relazioni, in famiglia, sul lavoro; sembra impossibile, a chi inizia, che possa diventarne dipendente, che starà male quando non avrà con sè la sostanza, che anche lui o lei diventerà un tossico, di quelli veri. Tutto sembra essere programmato, perfettamente controllabile, come l’illusoria certezza di poter mollare il colpo quando si vuole; quando è già diventata dipendenza, senza essersene ancora resi conto.


* Antonio Floriani è medico psicoterapeuta, Direttore del Centro LiberaMente di Genova. Esperto in dipendenze e comportamenti d’abuso, lavora da molti anni, a diversi livelli, nel settore. Per informazioni o per fissare un appuntamento, contattate il Centro LiberaMente o scrivete all’indirizzo antonio.floriani@centroliberamente.it