Tossicodipendenza ed alcooldipendenza secondo la clinica – La criteriologia nosografica in psichiatria forense
Non sempre è possibile stabilire una netta demarcazione fra un quadro psicopatologico ed un altro, e che esistono forme intermedie, di passaggio, marginali, miste, in fase di evoluzione o di remissione, forme che esordiscono attraverso il reato, e forme che rendono talvolta impossibile incasellare per lungo tempo il malato in una nosografia clinica sicura e ben determinata.
E’ necessario effettuare alcune preclusioni dall’area delle infermità, quali le personalità psicopatiche, le psiconevrosi, i disturbi psicosessuali, le tossicomanie senza disturbi mentali organici, affermando che in tali casi trattasi di disarmonie del comportamento che di per sé considerate non possono costituire vizio di mente. In tal caso il comportamento antigiuridico non può essere considerato come ‘morboso’, ma semplicemente come ‘delinquenziale’. Solo quando il comportamento abnorme è tale da essere alieno alle direttive della personalità cui si riferisce, assumendo un elevato ‘valore di malattia’ dimostrabile o attraverso l’acquisizione di una documentazione clinica specifica, deposizioni e testimonianze significative, dati anamnestici, clinici e psicodiagnostici raccolti nel contesto dell’accertamento peritale, solo allora si concretizza l’attributo di ‘morboso’, che perfeziona il concetto psichiatrico forense di ‘infermità’ quale previsto dal codice penale.
In considerazione del fatto che il parametro dell’infermità ha subito e subisce un processo di erosione e dilatazione, comprendendo sempre più numerose situazioni che sfuggono ovvero non trovano una loro precisa classificazione nosografica, la posizione che caratterizza autori quali Ponti e Merzagora non è quella dell’ancoraggio alla nosografia, quanto quella dell’indagine sulla responsabilità e sugli spazi residuali di libertà del soggetto al momento del reato.
A motivare tale conclusione vi è innanzitutto la considerazione del sempre più largo ricorso alla perizia psichiatrica, utilizzata non solo per identificare eventuali infermità, ma per avere anche un giudizio ed una valutazione che non si esauriscono nel dato psicopatologico, ma riguardano anche la criminogenesi, la criminodinamica e il profilo di personalità del reo.
A ciò si aggiunga la non corrispondenza degli inquadramenti classificatori della psichiatria con le valutazioni in merito alla capacità di intendere e di volere. In psichiatria forense la psicosi non significa più necessariamente incapacità, così come la nevrosi non porta all’imputabilità.
Il procedimento logico da farsi secondo il codice dovrebbe essere il seguente: ricercare l’infermità e, successivamente, verificare se da essa deriva abolizione o riduzione della capacità di intendere e di volere.
La diagnosi medico-legale alla base del giudizio di imputabilità
Secondo l’impostazione, adottata oltre che in Italia, nella maggior parte dei paesi europei, occorre che il clinico compia non solo una valutazione dell’esistenza di uno stato psicopatologico al momento del fatto, ma altresì una valutazione della sua influenza sulle capacità di intendere e di volere.
Diagnosi psichiatrica e diagnosi medico-legale e psichiatrico-forense infatti, differiscono sostanzialmente in quanto la prima ha finalità terapeutiche e riabilitative, la seconda, quando ci si trovi nell’area di valutazione dell’imputabilità, ha precipue finalità di apprezzamento dell’interferenza di una infermità sulla capacità di intendere e di volere del soggetto al momento del fatto ed in rapporto ad uno specifico reato.
Le impostazioni della dottrina medico-legale in merito alla problematica dell’imputabilità del tossicodipendente risultano caratterizzate da una diversità di impostazione che riflette da un lato, le differenti posizioni in tema di politica criminale e di difesa sociale e dall’altro, ha risentito del diffondersi del fenomeno tossicodipendenza all’interno del mondo criminale.
I problemi connessi alla valutazione medico-legale della imputabilità del tossicodipendente risultano quindi assai complessi, soprattutto in ordine alla nozione stessa di tossicodipendenza che non ha trovato ancora una sua precisa collocazione, venendo qualificata indifferentemente nell’ambito della patologia, in quello della devianza o in quello della delinquenza.
Il problema è stabilire se la tossicomania realizzi o meno la figura della infermità.
Nell’ambito delle forme conclamate di tossicomania la fenomenologia da astinenza può realizzare una multiforme varietà di quadri clinici, a seconda della predominanza dei diversi sintomi, somatici e psichici, pur permanendo immutata e comune a tutti l’essenza stessa della sindrome, informata al bisogno. La reazione da astinenza si fonda senza dubbio su modificazioni del terreno organico, talora di tanto rilievo da caratterizzare e dominare decisamente la sindrome. Ne deriva che nei casi in questione siano presenti gli attributi propri della malattia, nel senso che la fase carenziale configura in ogni suo aspetto, la nozione psichiatrica e medico-legale di malattia, tenuto conto degli elementi costitutivi della sindrome ed in particolare della sua dinamicità e delle sue ripercussioni sulla condotta.
Ben diversa si presenta la valutazione dei casi in cui la sindrome di astinenza non si è ancora consolidata e sistematizzata. Ciò di norma si riscontra nelle forme occasionali od iniziali di tossicomania, nelle quali come riportato non si suole rilevare una chiara ripercussione di ordine somatico. In tali casi la non chiara e duratura partecipazione del substrato somatico non consente di ammettere l’ipotesi psichiatrica di malattia; tuttavia può venire in discussione l’ipotesi della infermità nella sua forma particolare, ossia quella del ‘valore di malattia’.
L’altra questione di fondo che viene affrontata riguarda le modificazioni psichiche e somatiche originate nel soggetto dalla assunzione del tossico, e conseguentemente la valutazione se tali modificazioni costituiscono infermità. De Vincentiis sostiene che in tale campo va tenuto in debito conto come la soggettività impronti ogni questione del genere, non solo in rapporto alla maggiore o minore recettività individuale ed al tempo da cui data la tossicomania, ma anche in rapporto alla natura del tossico, alle dosi usate, alla via di introduzione scelta, all’eventuale associazione di sostanze di tipo diverso e soprattutto alla sintomatologia rilevata. Ciò lo porta ad escludere ogni generalizzazione in merito, in quanto trattasi di un giudizio di fatto ispirato ad un vaglio precipuo delle circostanze sopra riportate.
In tema di valutazione dell’imputabilità è necessario fare riferimento anche alla natura del reato, nel senso che se la dinamica del reato compiuto dimostra il condizionamento del soggetto, e se il reato è finalisticamente orientato a soddisfare il bisogno coattivo del tossicodipendente, la norma relativa all’imputabilità dovrebbe essere interpretata in modo nettamente individualizzato ed ammettersi il vizio di mente, almeno nei termini di incapacità di volere.
chi si rivolge al delitto, lo fa per sua scelta.
I principi diagnostici
Alla luce della vigente normativa, l’art 78 del T.U. del 1990 nº 309 dispone che con decreto del Ministro della sanità, previo parere dell’Istituto superiore di sanità, siano determinati:
- le procedure diagnostiche e medico-legali per accertare l’uso abituale di sostanze stupefacenti o psicotrope;
- le metodiche per quantificare l’assunzione abituale nelle ventiquattro ore;
- i limiti quantitativi massimi di principio attivo per le dosi medie giornaliere.
L’art. 1 di tale decreto dispone che a tale accertamento si proceda mediante:
- ‘riscontro’ documentale di trattamenti sociosanitari per le tossicodipendenze presso strutture pubbliche o private, di soccorsi ricevuti da strutture di pronto soccorso, di ricovero per trattamento di patologie correlate all’abuso abituale di sostanze stupefacenti, di precedenti accertamenti medico-legali;
- constatazione dei ‘segni di assunzione abituale della sostanza’;
- rilievo dei sintomi fisici e psichici di intossicazione in atto;
- constatazione di una ‘sindrome di astinenza in atto’;
- ricerca della presenza di sostanze stupefacenti o loro metaboliti nei liquidi biologici o nei tessuti.
Riguardo l’accertamento della presenza delle sostanze nei liquidi biologici (urine, saliva, lacrime) e nei tessuti (in particolare il sangue che è un tessuto liquido) è necessario fare alcune distinzioni. Il prelievo di urina e saliva richiedono il consenso del paziente, il quale è sufficiente ai fini della liceità dell’atto. La stessa cosa non è valida per il prelievo ematico.
Gli accertamenti diagnostici medico-legali che vengono effettuati per comprovare l’esistenza di uno stato di ‘dipendenza’ da sostanze vengono di norma condotti a più livelli ossia attraverso indagini cliniche, esami di laboratorio e test farmacologici. Le indagini cliniche comprendono il momento anamnestico, l’esame obiettivo, l’esame psichico, le indagini psicodiagnostiche. Le ricerche di laboratorio da una parte tendono ad individuare soprattutto una compromissione epatica, e dall’altra sono mirate alla ricerca dei metaboliti della sostanza tossica nei liquidi biologici. I test farmacologici si avvalgono della proprietà posseduta dagli antagonisti degli oppiacei di slatentizzare una iperreattività cellulare a livello degli oppiocettori, ovvero attraverso metodologie invasive e non, riescono a dare contezza circa l’esistenza di una farmacodipendenza.
L’anamnesi ha lo scopo di delineare un ritratto della personalità del soggetto nella sua dimensione esistenziale e sociale. In essa dovranno essere esaminati i dati biografici precedenti l’uso della droga, e cioè la condizione familiare, la scolarità, il rapporto con il lavoro e l’esistenza di una possibile patologia remota, nella forma di disturbi del comportamento o di malattie ereditarie. La ricerca dovrà poi spostarsi sul rapporto con la droga sia sotto l’aspetto storico, che fornirà una rappresentazione dell’evolversi della carriera tossicomanica, sia sotto l’aspetto fenomenico volto a conoscere gli effetti prodotti dalla sostanza sia nella fase di assunzione che in quella di astinenza/assenza.
Dopo la ricerca specificamente biografica, l’anamnesi va condotta sugli aspetti fenomenici del rapporto con la droga, invitando il soggetto alla descrizione dei due momenti essenziali, quello dell’assunzione e quello dell’astinenza.
Esaurita la fase anamnestico-biografica, l’indagine prosegue con l’esame obiettivo ossia con la ricerca di reperti di ordine somatico. Tali dati risultano legati non tanto all’azione del farmaco quanto alle modalità di somministrazione. La prima ispezione va condotta a livello delle vene degli avambracci, dove la presenza di postumi cicatriziali di ascessi o di postumi di tromboflebiti, caratterizzati questi ultimi da indurimento del vaso, depongono per una lunga storia di pratica iniettiva. I segni di agopuntura possono però rinvenirsi in tutte le parti del corpo.
Nei tossicomani inveterati possono risultare patognomonici il decadimento delle condizioni generali, con ipotonia delle masse muscolari, pallore cutaneo e delle mucose, causati dalla cattiva ed impropria alimentazione, nonché dall’azione diretta del tossico sulle funzioni metaboliche e dall’abuso non infrequente di alcolici; le cosiddette ‘rosette’, rappresentate da cicatrici di ustioni da sigaretta, localizzate sulle regioni alte delle superfici anteriori del torace, e nella cui dinamica di produzione si ritrova come causa iniziale la sonnolenza tipica che segue l’introduzione dell’eroina, quindi la caduta in avanti del capo e l’ustione inavvertita per la condizione analgesica determinata dal tossico; carie dentaria diffusa; epatomegalia quale segno clinico di epatiti croniche di differente tipo e di differente genesi, ma tutte caratterizzate da un aumento di volume e della consistenza del fegato, e soprattutto dovute a mancanza di precauzioni igieniche nella pratica iniettiva. Lo stato della pupilla, miotica nell’uso recente di oppiacei, midriatica in fase di astinenza e sempre scarsamente reattiva alla fotostimolazione, è segno sufficientemente certo di assunzione di morfinici.
Un importante aiuto nella diagnosi in sede clinica potrà essere fornito dall’esame dei farmaci e dei prodotti che il tossicomane porta con sé, e del materiale (siringhe, pipe, cartine per sigarette) che egli usa per somministrarsi la droga.
Esauritasi la fase dell’esame obiettivo, l’indagine prosegue sul piano clinico neurologico e quindi psichiatrico. I disturbi neurologici, laddove presenti, risultano assolutamente aspecifici, indicativi cioè soltanto di un interessamento del sistema nervoso centrale. Più specifici, seppure di differente intensità a seconda del grado e della cronicità della condizione di tossicodipendenza, sono i disturbi psichici, i quali si concretano soprattutto in disturbi della ideazione, che appare rallentata, deficit dell’attenzione, disforie dell’umore, reazioni di paura, situazioni di angoscia.
Le indagini psicodiagnostiche, condotte con vari test, sono volte alla verifica di una condizione di immaturità psicologica, caratterizzata da instabilità emotiva correlata a scarsa autosufficienza, in definitiva una scarsa fiducia in se stessi, una immaturità per il permanere di elementi adolescenziali, che viene trattata con il ricorso alla droga come mezzo di incremento dell’autostima. Gli esiti di tali esami non consentono di delineare una ‘personalità del tossicodipendente’, sia nel senso di tratti psicologici specificamente predisponenti alla tossicomania, in quanto tale predisposizione può essere solo generica ed aspecifica verso forme di disagio, sia nel senso di alterazioni caratteriali determinate unicamente dalla prolungata tossicomania. Più verosimile appare, al contrario, una connessione tra gli esiti del prolungato abuso e le caratteristiche della personalità di base, che può evolvere verso la radicalizzazione delle componenti nevrotiche o verso lo scompenso psicotico.
Le ricerche di laboratorio sono comprensive di:
- analisi cliniche, volte ad evidenziare l’entità dei danni causati dall’abuso di sostanze soprattutto sul fegato del tossicodipendente, che risulta ‘stressato’ non solo per l’azione diretta dell’eroina ma anche per la concomitante assunzione di altre sostanze e per il frequente contestuale abuso di sostanze alcoliche;
- analisi chimico-tossicologiche il cui scopo è la ricerca dei metaboliti della sostanza tossica nei liquidi biologici. I limiti interpretativi di tale indagine sono imposti dal processo di metabolizzazione dei morfinici che si completa entro le 72 ore dall’assunzione della droga. Rapidissima è l’ascrezione di cocaina di cui può scomparire ogni traccia nel giro di 10-12 ore dalla assunzione. Per cui la negatività del risultato non esclude la condizione tossicomanica, la quale, al contrario, non può essere presunta dalla positività che è indicativa esclusivamente di una avvenuta assunzione di eroina.
Il risultato di tale esame di laboratorio è dunque influenzato da una molteplicità di fattori quali:
- dose assunta e tempo trascorso dall’ultima assunzione;
- frequenza di assunzione, gli utilizzatori cronici hanno infatti livelli ematici più elevati;
- ph urinario;
- quantità di urine escrete, la contrazione della diuresi infatti facilita il rinvenimento della sostanza.
L’universo del tossicodipendente tende irrimediabilmente a restringersi progressivamente finendo per identificarsi con il solo rapporto con la sostanza. Tutti i comportamenti risultano psicologicamente e biologicamente alterati, in particolare quelli orientati in senso autoconservativo.
Indagini biochimiche nell’accertamento di intossicazione acuta da alcool
Per determinare la presenza di alcool nell’organismo è possibile oggi avvalersi di una vasta gamma di tecniche. Di norma la misurazione della sostanza nel sangue, nell’aria espirata e nell’urina rappresenta prova più sicura di ingestione eccessiva di alcool, ma non fornisce indicazioni su un eventuale condizione di etilismo.
L’alcolemia misura la concentrazione di alcool nel sangue ed è il metodo ancora usato in molti paesi per l’identificazione dei guidatori in stato di ebbrezza, anche se per ragioni pratiche è stato soppiantato dalle tecniche spirometriche. Esso rimane tuttavia il test più specifico da effettuare nell’ambito di una serie di accertamenti diagnostici, potendo fornire informazioni sul livello di tolleranza raggiunto dal soggetto.
Le tecniche spirometriche risultano particolarmente utili nelle urgenze e nello screening, in quanto si fondano sulla esistenza di una proporzionalità costante tra la concentrazione di alcool presente nel respiro e quella ematica. Esse permettono di misurare il tasso alcolemico senza ricorrere a tecniche invasive di prelievo. Nella cosiddetta ‘prova del palloncino’, il fiato, immesso all’interno di un palloncino di gomma, attraversa una fialetta contenente un reagente chimico che muta di colore in presenza di vapori alcolici; la precisione di questa tecnica è comunque limitata.
Attualmente sono usati gli alcolometri elettronici, apparecchi in grado di garantire una notevole praticità ed una buona affidabilità.
Tuttavia è opportuna una corretta valutazione dei fattore che possono influire sulla misurazione. Per valutare se il soggetto si trova nella fase ascendente (assorbimento) o discendente (eliminazione) della curva alcolemica, bisogna effettuare una doppia lettura a distanza di alcuni minuti. Se la misurazione viene effettuata a distanza di pochi minuti dalla ingestione eccessiva di alcool, si ottengono valori superiori a quelli reali per la presenza dell’alcool buccale. Anche in caso di vomito recente i valori sono alterati per il reflusso di aria gastrica contenente alcool in quantità superiore a quella realmente presente in circolo.
Nozione di sostanza stupefacente
La nozione di sostanza stupefacente è talmente ampia da renderne praticamente impossibile una visione unitaria. Una sua definizione sul piano chimico è manifestamente impossibile, poiché tali sostanze, siano esse naturali o sintetiche, appartengono a gruppi chimici assai diversi fra loro. Sul piano farmacologico, non è possibile individuare un modello comune di azione, tranne quella elettiva sul sistema nervoso centrale. Le definizioni che di norma vengono proposte si basano su alcuni degli effetti che tali sostanze producono, come la cosiddetta ebbrezza, la tolleranza, la dipendenza, la sindrome d’astinenza.
Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità “sono da considerare sostanze stupefacenti tutte quelle sostanze di origine vegetale o sintetica che agendo sul sistema nervoso centrale provocano stati di dipendenza fisica e/o psichica, dando luogo in alcuni casi ad effetti di tolleranza ed in altri casi a dipendenza a doppio filo e cioè, dipendenza dello stesso soggetto da più droghe“.