FENOMENO ULTRAS

Articolo di Antonio Floriani

ETIMOLOGIA

Il termine ultras (o ultrà) deriva dal francese ultra-royaliste, indicante i più fanatici attori del terrore bianco, periodo successivo alla Rivoluzione Francese caratterizzato da scontri e cruente esecuzioni di massa. Con esso si definisce il tifoso organizzato di una determinata società sportiva, più frequentemente calcistica, ma anche di altri sport. L’ultrà è caratterizzato da un forte senso di appartenenza al proprio gruppo e dall’impegno quotidiano nel sostenere la propria squadra, impegno che trova il suo culmine durante le competizioni sportive.

NOTE STORICHE

Il fenomeno del tifo calcistico nasce proprio in Italia negli anni ’50, quando i primi tifosi di squadre di calcio iniziano a riunirsi in gruppo. Solo successivamente il fenomeno inizia a diffondersi anche in altri paesi, soprattutto in Inghilterra, dove gli ultras vengono battezzati hooligans. Mentre in Inghilterra viene lasciato molto più spazio ad azioni spontanee, in Italia gli ultras sono generalmente coordinati da un’unica voce. Inoltre, oltre a riconoscere un leader e altre figure di riferimento, gli ultras hanno un’organizzazione che contempla la ripartizione di ruoli, compiti e incarichi di varia natura all’interno di una struttura gerarchica. L’utilizzo di tamburi, megafoni e striscioni, caratterizza e contraddistingue il gruppo di ultras. Per realizzare imponenti scenografie in occasione delle partite, il gruppo reperisce i fondi necessari per mezzo dell’autofinanziamento, delle collette fra tifosi, della vendita di sciarpe, berretti, bandiere, T-shirt e adesivi, a differenza degli hooligans inglesi dove non esiste nessuna organizzazione ufficiale del gruppo. Nelle curve italiane esiste un capo che coordina i cori, il cosiddetto lancia-cori, collocato al centro del settore, coadiuvato da altre persone munite di megafoni e tamburi. I gruppi ultras italiani, a differenza di quelli inglesi, non escludono la presenza di donne tra gli appartenenti. Inoltre, a differenza dei gruppi inglesi, gli ultras italiani non vedono indistintamente negli ultras di altre squadre l’avversario, essendoci a volte rapporti di indifferenza se non, all’opposto, di amicizia e gemellaggi. In Italia il primo gruppo ultras è stato quello della fossa dei leoni di Milano, risalente al 1968, sebbene ad aver utilizzato per primi la parola ultras nella loro denominazione siano state la Sampdoria e il Torino.

E’ negli anni ’60 che il fenomeno ultras ha il suo boom: ogni gruppo comincia a caratterizzarsi con un nome simbolico e uno striscione dietro cui radunarsi. Nascono inni, bandiere, coreografie idonee a sostenere la propria fede e negli stadi si accendono i primi fumogeni.

Contemporaneamente nasce la competizione con il gruppo di ultras di altre squadre, competizione che negli anni ’70 coincide con un periodo tempestato da atti di violenza tanto nella società non-sportiva, quanto tra i gruppi di ultras. Il clima politico e le tensioni sociali dell’epoca sembrano infatti ispirare i gruppi di tifosi, e spesso la simbologia riproposta nei cori, sugli striscioni e negli stessi nomi dei gruppi richiama l’ideologia politica. È da quel momento che il fenomeno ultras inizia a evidenziare risvolti chiaramente discutibili, sia per la tipologia particolare dei suoi appartenenti (spesso individui segnati da disagio sociale, degrado, alcolisti e consumatori di droghe), sia per gli episodi teppistici ricorrenti, al punto da rafforzare nell’opinione pubblica l’idea che quel tifo altro non sia che una valvola di sfogo della rabbia sociale e di un profondo malessere.

A partire dagli anni ’80, tutte le squadre professioniste hanno almeno un gruppo ultras, e negli anni ’90 il problema della violenza nel calcio si aggrava ulteriormente, degenerando in molti casi in attacchi diretti preferibilmente contro le forze dell’ordine ed in episodi di violenza a tratti feroce.

La metà degli anni ’90 viene contrassegnata da un episodio gravissimo: poco prima dell’incontro di Genoa-Milan, un ultras della squadra genovese viene accoltellato a morte. L’episodio indusse i rappresentanti dei maggiori gruppi ultras italiani ad un tentativo di autoregolamentazione, condannando l’utilizzo di armi da taglio durante gli scontri e le aggressioni di gruppo contro singoli. Nonostante ciò, gli episodi che si verificarono successivamente smentirono i buoni propositi, ed oltre alle “lame”, entrarono spranghe, tubi di ferro, biglie metalliche, razzi da segnalazione (bengala) e ordigni; ogni oggetto reperibile sul posto prese forma di arma impropria: dalle cinture con grosse borchie, ai sedili in plastica delle tribune, ai rubinetti e sanitari dei servizi igienici.


Oggi
i gruppi ultras rappresentano una forte componente del mondo del calcio: essi dispongono di sedi e mezzi, diffondono comunicazioni attraverso siti internet, libri, riviste, volantini. Il leader a cui fa riferimento prende generalmente posto nel settore dello stadio denominato curva o gradinata, ovvero nel settore più popolato e “popolare”. Negli ultimi anni il fenomeno ultras è notevolmente cambiato e pertanto, oggi, alcuni di essi, singoli o in gruppo, si collocano nei settori laterali rappresentati generalmente dalle tribune, da dove è spesso più facile controllare e dirigere dando meno nell’occhio. Oggi, inoltre, molti di coloro che si contraddistinguono per atti di violenza durante le manifestazioni sportive, non appartengono formalmente a club o gruppi organizzati del tifo, ma rappresentano piuttosto i cosiddetti “cani sciolti”.

SPIEGAZIONE DEL FENOMENO

Dal punto di vista sociologico, gli ultras sono considerati una sottocultura giovanile. Con questo termine si identificano i gruppi di individui accomunati da un determinato stile di vita, da un vocabolario gergale, dalla diffusione di comportamenti e abitudini comuni, come ad esempio l’utilizzo di certi capi d’abbigliamento, adesivi, loghi, scritte, tatuaggi, rappresentativi del gruppo e della squadra di appartenenza. Essi hanno inoltre un proprio sistema di valori ed una propria ritualità oltre ad un peculiare modo di vivere lo stadio che non ha nulla a che fare con quello del tifoso comune. La rivalità tra gruppi differenti, oltre all’astio e ai tafferugli che ne conseguono, può avere origini diverse. Al di là del fattore campanilistico, vi sono storiche rivalità di natura sportiva, generalmente sorte come conseguenza ad ingiustizie sportive subite, piuttosto che ispirate da contrapposte ideologie politiche. Per motivi analoghi, sono frequenti anche i casi in cui due gruppi non solo non siano belligeranti, ma i cui i membri si mescolino per tifare o festeggiare assieme. Ciò è dovuto all’alleanza e all’amicizia che possono nascere condividendo un simile modo di intendere il tifo. Avviene così che quando questo legame è particolarmente solido, si ufficializzi il cosiddetto gemellaggio.

PROVVEDIMENTI CONTRO IL FENOMENO

La storia di alcune delle tifoserie notoriamente violente, come quella inglese, è stata in tempi recenti modificata: nel calcio inglese oggi sono previsti posti numerati negli stadi e nessuna barriera divisoria tra le tifoseria delle due squadre; il risultato è stato l’assenza quasi totale di incidenti e una cultura calcistica che ha saputo riportare le famiglie agli stadi. Ciò grazie all’applicazione di severe norme antiviolenza. I violenti, infatti, sono stati isolati, tenuti lontani dagli stadi e solo le trasferte all’estero possono diventare un’occasione per manifestare il peggio di loro stessi. Le forze di polizia delle varie nazioni hanno dimostrato che spesso gli scontri sono voluti dai gruppi che rappresentano gli estremismi politici, violenti ai quali le trasferte vengono spesso offerte nel nome di un primitivo concetto di squadra, d’appartenenza al gruppo.


L’Italia
, purtroppo, si trova ancora impreparata ad affrontare teppisti che gravitano attorno al mondo delle partite. I vari decreti e le disposizioni in materia sono riusciti solamente in parte ad arginare tale fenomeno. La creazione di gabbie, cancelli, passaggi con tornelli, varchi elettronici, dispositivi di videosorveglianza, se da un lato hanno permesso un migliore controllo e “filtraggio” delle presenze, dall’altro ha esaltato la brutalità degli istinti distruttivi di chi cerca un pretesto per sfogare la propria rabbia cieca. Troppo spesso anche le forze dell’ordine non riescono a colpire i violenti, cosicché tanti pacifici spettatori (la maggior parte) si trovano vittime del fenomeno. Anche il divieto della vendita di alcolici in occasione delle manifestazioni sportive sembra aver ridotto solo in minima parte i danni, anche per via della facile aggirabilità del provvedimento. Il DASPO, acronimo di divieto di accedere alle manifestazioni sportive, introdotto con una legge del 1989, è il provvedimento di diffida per chi si è reso protagonista di episodi violenti. Esso viene emesso dal questore e la sua durata può andare da 1 a 5 anni, spesso accompagnato dall’obbligo di presentazione all’ufficio di polizia in concomitanza temporale della manifestazione sportiva a cui viene interdetto l’accesso. La norma è stata più volte modificata negli anni, in seguito a gravi episodi di violenza; ultimo quello in cui ha perso la vita l’ispettore della Polizia di Stato Filippo Raciti in occasione del derby Catania-Palermo del febbraio 2007. Ma anche il DASPO sembra aver limitato solo in parte la possibilità che eventi sportivi diventino teatro di scontri.

Sociologi, psicologi e politici si interrogano costantemente su un fenomeno che, almeno in Italia, non è di facile soluzione. Il presidio da parte delle forze dell’ordine, la cosiddetta “militarizzazione” degli stadi sembra aver spostato i fenomeni di violenza dal campo di gioco all’esterno, dove le cronache raccontano ciclicamente di guerriglie urbane seguite da devastazioni e saccheggi, dove a farne le spese sono spesso la gente comune, gli arredi urbani e il territorio in generale. Se l’Inghilterra vanta il raggiungimento -reale- dell’obiettivo sicurezza all’interno degli stadi, è pur vero che il tasso di criminalità e micro-criminalità al di fuori degli eventi sportivi è assolutamente maggiore di quello di altri paesi, Italia compresa. Le notti londinesi, particolarmente quelle dei fine-settimana, sono caratterizzate dalla presenza di scorribande di giovani che, sotto l’influsso di alcool e droghe, compiono reati contro la persona e contro il patrimonio.

A differenza degli inglesi, gli italiani sembrano aver preferito la tecnica, forse realmente strategica, di lasciare che i disordini si concentrino in un solo luogo (lo stadio e i suoi dintorni) ed in un arco di tempo limitato (quello della manifestazione sportiva). In tal modo, i disagi provocati da chi darebbe comunque vita a episodi criminosi e delinquenziali, risultano più facilmente controllabili; come dire: meglio concentrare allo stadio il fenomeno, limitatamente all’evento sportivo, che distribuirlo nel tempo e su un territorio ben più vasto, quindi più difficile da controllare.

Tali osservazioni stimolano una riflessione che, seppur ovvia, è degna di menzione: situazioni di malessere e di disagio sociale vissute da alcuni, troppi, giovani dell’epoca attuale, sembrano determinare una condizione di stress e di rabbia latente che necessita ciclicamente di una valvola di sfogo. L’esplosione in
episodi come quelli che caratterizzano la violenza negli stadi ed attorno agli eventi sportivi stessi, rappresenta tale momento di scarico e, implicitamente, di manifestazione di questo disagio. Il contesto, le motivazioni -apparenti- e la modalità collettiva con cui ciò avviene, permettono di giustificare gli episodi di violenza. In altri termini, le circostanze di tempo e di luogo (ovvero gli stadi durante le partite di calcio) sembrano dare un senso logico, quindi non pato-logico (o meglio, schizofrenico) agli eventi criminosi. Non a caso, gli stessi appartenenti ai gruppi ultras si trovano frequentemente in manifestazioni di piazza e in iniziative filo-politiche dove la probabilità di scontri (più o meno consciamente ricercati) è molto elevata. Ad innescarli può essere il gol non riconosciuto alla propria squadra, l’ammonizione ingiusta dell’arbitro, il venir alle mani tra due calciatori, il contenuto offensivo dei cori della quadra opposta. Ma lo spunto di scontri, particolarmente negli ultimi anni, è spesso motivato dalla presenza -fastidiosa- delle forze dell’ordine, doppiamente colpevoli, oltre all’essere lì, per aver magari sequestrato oggetti e striscioni vietati dalla legge o avere impedito l’accesso agli spalti a chi non ne aveva titolo tra cui i diffidati.


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