Le profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali, determinate in larga misura dal progresso scientifico-culturale, negli ultimi 50 anni hanno plasmato e veicolato stili di vita, assetti strutturali della società moderna implicando importanti cambiamenti della qualità della vita, della salute, dei consumi, miglioramenti e incrementi strettamente legati alla industrializzazione e alla urbanizzazione. Molti giovani e molte donne vorrebbero entrare nei circuiti lavorativi della nostra cosiddetta “società dei consumi”, così come molti uomini e molte donne che hanno perso o che rischiano di perdere il lavoro avrebbero voluto o vorrebbero restare. Sembra paradossale allora parlare di una dipendenza da lavoro o workaholism o work addiction. Tale paradosso, però, è solo apparente. In questo tempo storico, infatti, il lavoro pare essere per alcuni soggetti sempre più espressione di una realizzazione personale e strumento di approvazione e di valutazione psico-sociale della persona. Il rischio della degenerazione in una nuova forma di dipendenza, la dipendenza da lavoro, è rilevato da molti studi internazionali; tale rischio è molto alto per quelle persone insicure, con uno stile cognitivo rigido e inadeguato a gestire i problemi, che hanno grandi difficoltà a esprimere e a comunicare le proprie emozioni, a vivere con piacere e con soddisfazione le relazioni affettive e interpersonali, e che riversano sul lavoro eccessive aspettative, energie, bisogni di conferme del proprio valore nel tentativo -inadeguato e inefficace- di avere sollievo dall’ansia e dall’insicurezza, e in questo modo riempire un vuoto nella loro vita. La competizione, il prolungato investimento del tempo nel lavoro, le aspettative alte, anche una elevata quota di aggressività, la restrizione del tempo libero e l’allentamento delle relazioni non qualificano di per sé una dipendenza dal lavoro. Lo sono, invece, l’accentramento sul lavoro, la esclusività, la perdita di spazi di vita, la condotta ossessiva, l’orientamento dell’intera vita al lavoro con conseguente perdita di capacità di contatto emotivo con se stessi, con la propria famiglia e con gli altri che qualificano la dipendenza da lavoro.Gli studi internazionali definiscono la dipendenza da lavoro come un disturbo ossessivo-compulsivo. La struttura di personalità è rigida, perfezionista. L’ansia, una inadeguata regolazione nella gestione del tempo e del lavoro stesso, una bassa autostima caratterizzano la persona dipendente. La vita intera è centrata sul lavoro con conseguente pesante riduzione del tempo libero da dedicare ad altro. Alla fine il tempo libero viene completamente assorbito dal lavoro e non c’è più alcuna pausa, divertimento, affetto, interesse. Soltanto il lavoro. In questo processo la compromissione della vita relazionale, affettiva, di coppia, familiare, diventa grave.La perdita del controllo degli spazi e dei tempi del lavoro è totale: non esistono più regole, è presente una grave difficoltà nel riconoscere e nell’accettare i propri limiti. Il dipendente da lavoro pensa di dover fare sempre di più perché è imperativo fare tutto. La negazione del problema viene esplicitata attraverso affermazioni tese a evidenziare un forte attaccamento etico al lavoro. Senso del dovere, piacere per il proprio lavoro sono le giustificazioni più frequenti addotte da un dipendente dal lavoro.Il lavoro diventa unico propulsore e strumento di affermazione della propria identità. Il workaddict è un soggetto inadeguato e insicuro, è orientato a cercare sicurezza nella carriera e nel successo, ma alcune caratteristiche della sua personalità compromettono seriamente la validità del suo lavoro: ha difficoltà a relazionarsi in un team di lavoro con altri colleghi, è perfezionista, e ciò può comportare una perdita di efficienza, gestendo male il tempo d’impiego nello svolgimento del lavoro e dedicando eccessiva importanza ai dettagli nella esecuzione del lavoro stesso.
Ipervaluta se stesso, è ipercritico con i colleghi, l’adesione al lavoro è rigida, non sa delegare nulla agli altri, è presenzialista, ipervigilante, orientato al controllo.Le distorsioni cognitive errate presenti, secondo il modello cognitivista, sono organizzate in un sistema rigido che il soggetto ha sviluppato e coprono una voragine nella vita e nella struttura di personalità del dipendente. Tra le distorsioni cognitive si possono riscontrare, ad esempio, pensieri di perfezionismo, pessimismo, senso di inefficacia, esternalizzazione.
Nel trattamento terapeutico della dipendenza da lavoro è fondamentale lavorare sulla ristrutturazione cognitiva, sul recupero delle emozioni e sulla capacità di comunicazione emotiva, sull’autostima, sulle relazioni affettive, di coppia e familiari.