Articolo di Antonio Floriani

Tra i disturbi del comportamento è sicuramente da annoverare il comportamento autolesivo, in crescita soprattutto tra gli adolescenti, come dimostra, tra l’altro, la diffusione di siti Internet sull’argomento. Il comportamento autolesivo colpisce perlopiù gli adolescenti a partire dai 13 anni, in prevalenza le ragazze. Tra i maschi, esso è più frequente nella popolazione carceraria, in quella tossicodipendente ed in generale laddove sussista un disagio sociale rilevante, ma riguarda anche classi sociali medio-alte come dimostrano le storie di molti personaggi noti dello spettacolo e della politica internazionale.

L’autolesionismo è caratterizzato da azioni intenzionali e ripetute, generalmente a bassa lesività, che alterano o danneggiano il tessuto corporeo, senza alcun intento suicida cosciente. Esso è spesso associato con altre patologie psichiatriche. Oltre all’autolesionismo classicamente inteso (self injury ) vanno considerate forme particolari quali l’auto-avvelenamento (self poisoning) o l’auto-danneggiamento (self harming) caratterizzato dalle cosiddette condotte a rischio, comportamenti che indirettamente hanno effetti dannosi per la salute; tra di essi il gioco d’azzardo patologico, la guida pericolosa, l’abuso di sostanze stupefacenti e di alcol (vedi sezione sulle compusioni). Il comportamento più frequente, consiste indubbiamente nell’auto ferimento per mezzo di lamette, coltelli, cutter, con cui il soggetto si procura tagli sugli avambracci, sulle cosce, sulle gambe, a volte sull’addome. Gli strumenti possono essere di  varia natura: anche coltelli, forchette, lamette e qualsiasi oggetto in grado di provocare un trauma più o meno grave. Alcuni soggetti autolesionisti prediligono l’utilizzo di sigarette per prodursi  ustioni più o meno gravi, in particolar modo agli avambracci. In altri casi, più rari, il comportamento autolesivo può consistere nel grattarsi la pelle fino a sanguinare, impedire le cicatrizzazione di ferite, mordersi, strapparsi i capelli, ingerire oggetti, inserirli sotto la cute o sotto le unghie, tatuarsi da soli.

Le cause di questo fenomeno non sono ancora del tutto chiare. Tuttavia si può affermare che chi  soffre di comportamenti  auto lesivi presenta episodi di eccitabilità della corteccia cerebrale simile a quelli che si verificano durante gli attacchi epilettici. L’impulso neuronale non rimane circoscritto in una precisa area corticale come dovrebbe, ma si diffonde in diverse regioni (Dott. Camillo Loriedo, docente di psichiatria all’Università “La Sapienza” di Roma).

Raramente chi ricorre a comportamenti autolesionistici lo fa in pubblico, salvo che esso non abbia caratteristiche di atto dimostrativo, provocatorio, o al fine manipolatorio. Lo stesso risultato, vale a dire le ferite e i segni lasciati alla loro cicatrizzazione, raramente viene mostrato agli altri. Molti pazienti descrivono il momento dell’auto-ferimento come un’esperienza dissociativa, durante la quale hanno la sensazione di osservarsi dall’esterno come se stessero vedendo un film.

Chi mette in atto questo tipo di comportamenti cerca, attraverso il dolore fisico, un senso di sollievo o addirittura di piacere. Solitudine, sensazione di vuoto, senso di colpa e di impotenza fanno spesso da cornice al disturbo. Queste persone, dopo essersi tagliate, possono provare un sollievo temporaneo che dura fino a quando un’altra sensazione negativa farà scattare nuovamente la molla. È evidente lo stretto legame tra tali comportamenti e le dipendenze patologiche. In alcuni casi, il soggetto che si auto-ferisce vive uno stato di alienazione dal proprio corpo, dove il dolore ed il sangue fanno sentire più vivi, più reali, come se solamente la sofferenza fosse in grado di affermare la propria esistenza. Per altri ancora, l’autolesionismo sembra essere una valvola di sfogo, una via attraverso cui espellere tutte le sensazioni negative che sentono di avere in corpo. La fuoruscita del sangue, in questo caso, è vissuta come un evento terapeutico, catartico. Assai frequentemente questo tipo di disturbi sono caratterizzati da componenti sia ossessive che conclusive. L’auto ferimento può diventare un rituale e così l’evento può ripetersi fino a diventare una dipendenza. La  compulsività fa sì che certi comportamenti possono ripetersi anche più volte al giorno: il pensiero di ferirsi diventa ossessione, sempre più forte nei momenti di stress. Esiste infine una auto-ferimento stereotipico, caratteristico di gravi ritardi mentali e dell’autismo. Il gesto è compiuto indipendentemente dal contesto e può avvenire anche in pubblico. In genere esso è caratterizzato da movimenti stereotipati, come battere la testa ripetutamente contro un muro.

L’autolesionismo è spesso associata disturbo borderline di personalità. La confusione che vive chi ne soffre, unitamente all’instabilità delle relazioni di amicizia, sentimentali e famigliari, fa da sfondo a un’esistenza caratterizzata da periodi autodistruttivi ricorrenti. Il gesto auto-lesivo diventa così il modo di manifestare la propria sofferenza e nel contempo lenirla, particolarmente durante i periodi di forte stress, come quelli caratterizzati dai ricorrenti abbandoni. La modalità con cui il comportamento autolesivo avviene nei pazienti borderline è analoga a quella dei pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare, specialmente dalla bulimia. In questo caso ferirsi significa attirare l’attenzione di qualcuno sulla propria sofferenza. Molti autolesionisti sembrano infatti soffrire di alessitimia, vale a dire l’incapacità di esprimere emozioni. Questa impossibilità di comunicare agli altri i propri sentimenti di rabbia può sfociare, tra l’altro, in gesti autolesionistici. Quando si subiscono traumi durante l’infanzia, oltre alll’ostilità nei confronti di chi ne è stato causa, si genera odio anche verso altre persone che si ritengano comunque responsabili della propria sofferenza piuttosto che verso se stessi.

L’intervento terapeutico su questo tipo di disturbi è assolutamente complesso. Molto spesso il gesto autolesionista rappresenta solamente un sintomo di molti disturbi ad esso associati. È inoltre fondamentale intervenire sul contesto familiare per sradicare i meccanismi che inducono ad auto-ferirsi. Tra i farmaci più utilizzati, gli stabilizzatori dell’umore, in grado di ridurre i picchi di comportamento impulsivo, ma anche farmaci antidepressivi e talvolta anche psicotici, costantemente associati alla psicoterapia. Specifici gruppi di auto-aiuto così come strutture per autolesionisti si stanno diffondendo anche in Italia.