Il Disturbo Dissociativo più clamoroso, seppure relativamente poco frequente, è rappresentato dal Disturbo Dissociativo dell’Identità (DDI), precedentemente chiamato Disturbo da Personalità Multipla. La caratteristica essenziale del DDI è la presenza di due o più distinte identità o stati di personalità che in modo ricorrente assumono il controllo del comportamento. Vi è incapacità di ricordare notizie personali importanti, troppo estesa per essere spiegata con una banale tendenza alla dimenticanza. Spesso le azioni, i pensieri e le emozioni della cosiddetta personalità secondaria sono molto differenti da quelli della personalità primaria. A volte questi cambiamenti di stile, di comportamento e di strategie di relazione sono accompagnati da disturbi e fenomeni particolari che possono far pensare ad un disturbo psicotico, come esperienze pseudo-allucinatorie o convinzioni simil-deliranti. Per questo motivo, questi soggetti vengono spesso trattati come se fossero schizofrenici o con un disturbo borderline di personalità, ma è anche vero che molti soggetti con disturbi simili lo sono realmente. In particolar modo, nel disturbo borderline di personalità sono frequenti episodi dissociativi.
Un altro caso di disturbo dissociativo è rappresentato dalla Fuga Dissociativa, caratterizzata dall’allontanamento improvviso e inaspettato da casa o dall’abituale posto di lavoro, accompagnato dalla incapacità di ricordare il proprio passato e da confusione circa la propria identità personale, oppure dalla assunzione di una nuova identità. Durante questi episodi, che possono durare da poche ore ad alcuni giorni o mesi, il soggetto può apparire perplesso o disorientato, mostrando cioè segni di uno stato alterato di coscienza.
Nell’Amnesia Dissociativa vi è invece una incapacità di rievocare importanti notizie personali, che è usualmente di natura traumatica e stressogena, e che risulta anch’essa troppo estesa per essere spiegata con una normale tendenza a dimenticare. Spesso anche questa incapacità di rievocare un periodo della propria vita passata si verifica insieme a segni di un disturbo della coscienza: perplessità, disorientamento, derealizzazione.
Quest’ultimo sintomo si può avere anche in associazione al Disturbo di Depersonalizzazione, caratterizzato dal sentimento persistente o ricorrente di essere staccato dal proprio corpo o dai propri processi mentali, mentre rimane buono il contatto con la realtà. La persona avverte all’improvviso un allarmante cambiamento nel sentimento generale della propria realtà e identità, espresso a livello di percezione, o della propria corporeità o dell’esperienza mentale (emotiva, di pensiero, di memoria o di volizione). Ci si può sentire cioè come un automa, oppure come se si vivesse in un sogno o in un film. Può esserci la sensazione di essere un osservatore esterno dei propri processi mentali, del proprio corpo o di parti di esso. Vari tipi di anestesia sensoriale, mancanza di reazioni affettive, e la sensazione di perdere il controllo delle proprie azioni sono spesso presenti.
Per finire, ed è il caso forse più frequente, abbiamo il Disturbo Dissociativo Non Altrimenti Specificato, in cui è presente un sintomo dissociativo che però non è sufficiente a poter porre una delle diagnosi sopradescritte. Sono i casi in cui vi è, per esempio, solo derealizzazione, oppure le trance da possessione tipiche di certe culture, oppure singoli episodi di alterazione della coscienza o della memoria, ed altro ancora. Alcuni sintomi dissociativi sono presenti anche nel Disturbo Post-Traumatico da Stress o nel Disturbo Somatoforme o nei Disturbi di Conversione.
Solo nel 1980, anno della pubblicazione della terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM III), è stato introdotta la categoria dei Disturbi Dissociativi. Nonostante ci fossero già numerose osservazioni cliniche, descrizioni storiche di casi famosi, il forte interesse della psichiatria, della psicologia clinica e della psicoanalisi a partire dalla fine dell’Ottocento, per decenni i pazienti con disturbi dissociativi sono stati trattati come se fossero affetti da altre patologie e quindi con strategie terapeutiche non appropriate.
Da molte ricerche effettuate in questo campo, sembra che molti pazienti affetti da un Disturbo Dissociativo abbiano vissuto nella loro infanzia o nella prima adolescenza uno o più episodi traumatici di violenza, fisica, emotiva o sessuale. Se questo è spesso vero per i disturbi più gravi, è anche vero che non sempre tali eventi si verificano nella storia personale di questi pazienti. A volte, è possibile ricostruire una qualità particolare della relazione con le figure di attaccamento (madre e/o padre) nell’infanzia che sembra favorire la produzione spontanea di stati alterati di coscienza, cioè di dissociazione. E, seppure in una piccola percentuale di casi, è possibile altre volte che possano essere in causa delle configurazioni genetiche microscopiche che sembrano facilitare la presenza di un disturbo dissociativo.
Per finire, ed è il caso forse più frequente, abbiamo il Disturbo Dissociativo Non Altrimenti Specificato, in cui è presente un sintomo dissociativo che però non è sufficiente a poter porre una delle diagnosi sopradescritte. Sono i casi in cui vi è, per esempio, solo derealizzazione, oppure le trance da possessione tipiche di certe culture, oppure singoli episodi di alterazione della coscienza o della memoria, ed altro ancora. Alcuni sintomi dissociativi sono presenti anche nel Disturbo Post-Traumatico da Stress o nel Disturbo Somatoforme o nei Disturbi di Conversione.
Solo nel 1980, anno della pubblicazione della terza edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM III), è stato introdotta la categoria dei Disturbi Dissociativi. Nonostante ci fossero già numerose osservazioni cliniche, descrizioni storiche di casi famosi, il forte interesse della psichiatria, della psicologia clinica e della psicoanalisi a partire dalla fine dell’Ottocento, per decenni i pazienti con disturbi dissociativi sono stati trattati come se fossero affetti da altre patologie e quindi con strategie terapeutiche non appropriate.
Da molte ricerche effettuate in questo campo, sembra che molti pazienti affetti da un Disturbo Dissociativo abbiano vissuto nella loro infanzia o nella prima adolescenza uno o più episodi traumatici di violenza, fisica, emotiva o sessuale. Se questo è spesso vero per i disturbi più gravi, è anche vero che non sempre tali eventi si verificano nella storia personale di questi pazienti. A volte, è possibile ricostruire una qualità particolare della relazione con le figure di attaccamento (madre e/o padre) nell’infanzia che sembra favorire la produzione spontanea di stati alterati di coscienza, cioè di dissociazione. E, seppure in una piccola percentuale di casi, è possibile altre volte che possano essere in causa delle configurazioni genetiche microscopiche che sembrano facilitare la presenza di un disturbo dissociativo.
TERAPIA
Lo scopo della terapia è quello di permettere l’integrazione delle parti scisse del Sé. I tempi sono lunghi (anni), soprattutto per via delle resistenze e dei meccanismi di difesa messi in atto dal soggetto.
Il trattamento farmacologico è secondario alla psicoterapia e prevede l’utilizzo di antidepressivi, ansiolitici e stabilizzatori dell’umore.
Lo scopo della terapia è quello di permettere l’integrazione delle parti scisse del Sé. I tempi sono lunghi (anni), soprattutto per via delle resistenze e dei meccanismi di difesa messi in atto dal soggetto.
Il trattamento farmacologico è secondario alla psicoterapia e prevede l’utilizzo di antidepressivi, ansiolitici e stabilizzatori dell’umore.