“Alcol, guida, sospensione patente… “misure alternative” e nuove proposte…”

Genova 8 – 9 giugno 2006
Relazione a cura di Antonio Floriani.

Il convegno è stato organizzato dal gruppo di lavoro “Sospensione della Patente e servizi socialmente utili” dell’U.O. Ser.T. Centro-Levante di Genova (responsabile Dr. G. Schiappacasse).
Il convegno ha trattato la sospensione della patente in relazione all’uso di sostanze psicoattive, compreso l’alcol, che hanno suscitato in questi anni molte domande. Alcune riflessioni hanno portato gli operatori competenti a considerare altre forme di sanzione penale (per esempio le attività socialmente utili).
A partecipare al convegno sono stati gli Enti Locali (Regione Liguria, Provincia di Genova, Comune di Genova), la ASL 3 genovese, il Dipartimento delle dipendenze, l’U. O. Medicina legale, l’Associazione Nazionale dei Magistrati.

Sintesi degli interventi più significativi

Dott. Semboloni, responsabile dipartimento delle dipendenze – Ser.T ASL 3 genovese

Il Dott. Semboloni ha fatto un’ampia carrellata relativa ad alcuni dati statistici dei Ser.T genovesi. Da un’analisi degli ultimi anni si può notare come sia aumentato in modo esponenziale il numero assoluto di soggetti alcoldipendenti seguiti dal servizio: dai 64 utenti alcoldipendenti del 1996, si è passati ai 1600 del 2004 ed ai 1800 del 2005.
Anche il rapporto tra utenti alcoldipendenti e tossicodipendenti, negli ultimi anni è fortemente a favore dell’aumento di soggetti alcol dipendenti; infatti mentre nel 2000 questi rappresentavano circa l’8%, essi sono divenuti il 30% del 2005. Gli stessi operatori dei Ser.T riferiscono come i dati da loro riportati siano assolutamente sottostimati rispetto alla prevalenza di situazioni a rischio, se non decisamente gravi e patologiche, comprese in una fascia della popolazione che non si rivolge ai servizi. Ciò vale tanto per l’abuso di sostanze psicotrope che per quello di alcol. Della popolazione afferente al Ser.T, il 90% circa è rappresentato da soggetti di sesso maschile e solo un 10% dal sesso femminile; anche questo dato non corrisponde alla reale situazione all’interno della popolazione generale.
Il servizio pubblico per le dipendenze si è inoltre confrontato negli ultimi anni con una nuova realtà vale a dire quella di un incremento esponenziale delle cosiddette “doppie diagnosi” o “commorbidità psichiatriche”. Ciò, insieme all’incremento dei soggetti poliassuntori (che oggi rappresentano la maggioranza degli utenti afferenti ai Ser.T ) ha necessariamente obbligato ad un cambiamento nei trattamenti. Infatti gli invii presso le comunità terapeutiche sono aumentati enormemente nei confronti di utenti con doppia diagnosi e poliassuntori. I trattamenti di tipo ambulatoriale prestati dal Ser.T sono essenzialmente di tipo farmacologico, di counselling e psicoterapico. Negli ultimi anni sono inoltre aumentati i test eseguiti nei confronti di soggetti con provvedimenti legali riguardanti le patenti di guida; sono conseguentemente aumentate le visite psichiatriche, di esami del sangue (maggiormente utilizzati per la ricerca del consumo di alcol) ed i test sulle urine (maggiormente utilizzati per la determinazione dei metaboliti delle droghe).

Dott.ssa Basili, medico legale ASL 8 Torino

La Dott.ssa Basili ha spiegato il significato e le modalità di funzionamento dei test attualmente in uso per la determinazione dell’alcolemia e dei metaboliti delle droghe.
Va innanzitutto tenuto presente l’attuale limite legale di alcol nel sangue per chi guida veicoli, pari a 0,5 grammi/litro (50 mg/100 ml).
I test qualitativi hanno il vantaggio della rapidità esecutiva nonché della semplicità e della non-invasività; ciò a discapito di una relativa sensibilità e specificità. Essi utilizzano come liquidi biologici la saliva e le urine. I test quantitativi si caratterizzano per una maggiore sicurezza dal punto di vista della sensibilità e specificità. Essi comprendano l’etilometro, gli esami del sangue e delle urine; il metodo utilizzato è quello spettrocromatografico.
Tutti i test hanno delle peculiarità ma anche dei limiti: la loro sensibilità è spesso a svantaggio della specificità e viceversa con il rischio di falsi positivi e falsi negativi. Inoltre le modalità di utilizzo dei test, la raccolta e la conservazione dei campioni, ecc., aumentano il rischio di errori. L’esame del capello per la ricerca dei metabolici delle droghe è ad oggi poco usato vista la sua relativa attendibilità. Raramente presso i servizi abilitati (vedi Ser.T) viene prelevato e conservato un doppio campione urinario necessario in caso di contestazioni.

Dott. Brusco, Magistrato della Corte di Cassazione, Roma

Il Dott. Brusco ha sottolineato la diversità legislativa tra gli articoli 186 (guida sotto l’effetto di alcol) e 187 (guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) del Codice della Strada, evidenziandone il limiti, le carenze e le contraddizioni dal punto di vista legislativo.
Questi due articoli sono andati incontro a sostanziali modifiche nel corso degli anni. Ad oggi la materia appare più complessa, essendo l’articolo 186 ritornato di competenza del Tribunale ed essendo stato lasciato l’articolo 187, nell’ultimo riordinamento legislativo, di competenza del Giudice di Pace. Al di là del probabile errore del legislatore nella revisione degli articoli, la nuova formulazione appare quanto meno contraddittoria, essendo da ritenersi mediamente più grave il reato previsto dal 187 (sostanze stupefacenti) piuttosto che la guida in stato di ebbrezza. Sui due articoli, per questo e per tanti altri motivi, vi è molta confusione. Per esempio, la previsione del lavoro di pubblica utilità (i cosiddetti “lavori socialmente utili”) per il reinserimento dei rei, è una misura alternativa alla pena prevista tra quelle applicabili dal Giudice di Pace ma non dal Tribunale Ordinario.
Ulteriori difficoltà si avvertono nelle modalità che disciplinano il rilevamento dello stato di ebbrezza e/o di alterazione psicofisica dovuta all’effetto di sostanze psicotrope. Le forze di polizia hanno la possibilità -ma non l’obbligo- di effettuare controlli, controlli che devono essere non invasivi, garantire la riservatezza, eccetera. Se è vero che la valutazione dello stato di ebbrezza è rilevabile anche su strada in modo oggettivabile tramite l’etilometro, nel caso dell’uso di sostanze stupefacenti ciò è assolutamente più complesso e a discrezione dell’operatore (prova indice naso, reazione e riflessi, tipo di marcia, ecc.). Inoltre, l’accompagnamento in strutture, previsto dal regolamento di attuazione di questi articoli, crea una situazione di impasse etico circa la possibilità di effettuare i test alcolimetrici e per la ricerca di sostanze stupefacenti su un campione di sangue, come spesso avviene al pronto soccorso, utilizzato in prima battuta ai fini clinici e non medico-legali; il tutto senza che vi sia un consenso informato da parte del paziente.

Dott. Serra, medico legale Commissione Patenti ASL 3 genovese

Il Dott. Serra è responsabile delle Commissioni Medico Legali operanti a Genova in materia di rilascio e conferma delle patenti di guida automobilistiche.
Egli ha innanzitutto voluto sottolineare i costi economici e sociali derivanti dai danni da uso di alcol, ammontanti a circa il 2-5% del PIL nazionale. La relazione diretta intercorrente tra alcolemia e riduzione delle prestazioni è un dato scientificamente provato ed inconfutabile. Anche a bassi dosaggi, la riduzione del campo visivo (e pertanto della visione laterale nella guida) determina un rischio di incidenti assai più elevato di quanto si possa immaginare. Gli articoli 320 e 330 del regolamento di attuazione al DPR 285/92 (C.d.S.), specificano le regole e i costi (a carico dell’utente) per il rilascio o la conferma delle patenti di guida nei casi specificati. Nel caso di rinnovi di patenti imposti dall’articolo 186 sono previste una visita psichiatrica (eseguita presso i Ser.T), una neurologica (presso ambulatorio pubblico) ed esami del sangue comprendenti il dosaggio della transferrina carboidrato carente (che rimane elevata anche alcune settimane dopo l’utilizzo di alcol), le transaminasi, le gamma GT e gli esami emocromocitometrici.
Inoltre, per questi soggetti, sono previsti controlli a distanza di tempo prestabilita a seconda del tipo di patente e del livello di alcolemia rilevato al momento del ritiro del documento: essi prevedono controlli programmati annuali, semestrali o anche più frequenti (come nel caso di patenti di categoria C e D), secondo un protocollo predefinito da ciascuna ASL (in attesa di un protocollo nazionale unificato). L’idoneità viene rilasciata unicamente a soggetti non alcoldipendenti in atto o che facciano uso abituale di alcol. La non-idoneità decretata dalle CML può essere di tipo temporaneo, piuttosto che definitivo, quest’ultima in caso di alcoldipendenza irreversibile o di alterazioni neuropsichiche tali da indicare un danno permanente.

Dott. Palmesino, presidente nazionale Associazione Italiana dei Club degli Alcolisti in Trattamento (AICAT – CAT)

Il relatore ha riportato alcuni dati che evidenziano la gravità del problema alcol.
Mentre gli alcolisti in Italia vengono stimati attorno al milione, i bevitori problematici sembrano superare i 5 milioni. 3000 bambini all’anno nascono con sindrome feto-alcolica. La frequenza dell’alcol come concausa di malattie e di incidenti è altissima. Alcune ricerche a livello europeo hanno stimato che avvengono, sotto l’effetto di alcol, il 40-50% di incidenti stradali, più della metà degli omicidi, un quarto dei suicidi, il 20% degli infortuni sul lavoro. È stata inoltre sottolineata la relatività del limite legale dell’alcol nel sangue: se in Italia esso è stato abbassato allo 0,5, anche lo 0,1 andrebbe considerato un valore a rischio. Ciò perché l’uso di alcol è di per sé un comportamento a rischio ed anche una sua assunzione moderata provoca alterazioni sulle percezioni e sulla capacità di riflessi. Da una ricerca effettuata dal Club all’interno dei quotidiani italiani, la parola “alcol” risulta essere utilizzata pochissime volte se non per la promozione della sua vendita. In questi casi, tra l’altro, viene privilegiata l’espressione “bevanda alcolica ” nel tentativo di mascherarne gli effetti negativi, mentre la parola “alcol” viene utilizzata maggiormente negli articoli inerenti la cronaca nera. Ciò a dimostrazione di come il problema sia altamente sottovalutato ed ignorato dai media.

Dott. Faltieri, Associazione Autoscuole di Genova

il Dott. Faltieri, oltre ad aver ricordato l’attuale normativa in materia di rilascio delle patenti e dei cosiddetti “patentini”, vale a dire i certificati di abilitazione all’uso dei ciclomotori, ha presentato la proposta della carta di qualificazione del conducente che sarà presto in vigore. Essa è frutto di una direttiva europea che prevede lezioni teoriche per i soggetti possessori di patenti superiori, trasportatori di merci piuttosto che conducenti di autobus. In queste lezioni vengono affrontate tematiche inerenti lo stato psicofisico del conducente, nonché informazioni sulla legislazione spesso sconosciuta o ignorata dai conducenti di mezzi. Infatti, pochi sanno che guidare ubriachi è penale e che la guida di un complesso di veicoli sotto l’effetto di alcol (basta solo un rimorchio per barca) comporta, tra le altre sanzioni, la revoca della patente che potrà essere nuovamente conseguita non prima di un anno dalla commissione del reato.

Dottori Testino e Sumberaz, U.O. specialistica di epato-gastroenterologia, Ospedale San Martino di Genova, Società Italiana di Alcologia

I relatori hanno indicato i tre gradi di prevenzione che applica l’Unità Operativa in cui lavorano: una prevenzione primaria a chi non ha ancora un problema alcolcorrelato; una secondaria, là dove il danno c’è ma può essere di tipo reversibile; una terziaria, intesa come la riduzione di un danno permanente in atto. In tutti i casi, comunque, perché la prevenzione abbia un effetto riscontrabile, necessita di azioni e comportamenti direttamente attuati dai soggetti verso cui è rivolta.
La semplice disintossicazione da alcol che viene spesso praticata all’interno dei reparti internistici ospedalieri è inutile quando non consegue un intervento che presuma un approccio psicologico al problema, nonché l’adesione ad un sistema terapeutico integrato che preveda, ad esempio, la partecipazione del soggetto a gruppi di auto-aiuto e il coinvolgimento del territorio. Tanto il soggetto alcolista quanto da famiglia, spesso sfuggono e minimizzano il problema. Circa il 35% dei trapianti di fegato è conseguente patologie alcolcorrelate e questa percentuale è in forte aumento. In Liguria ogni anno ne vengono effettuati circa cinquanta. Un dato allarmante riguarda la diminuzione dell’età media dei soggetti trapiantati che, solamente tra il 2000 e il 2006, si è abbassata dai 55 ai 45 anni. Per quanto concerne i ricoveri in urgenza per patologie alcolcorrelate, prevalgono le dipendenze da alcol, seguite dall’abuso alcolico, dalla cirrosi, dall’epatite, dai disturbi psicoorganici. In soli tre anni, dal 2001 al 2003, i ricoveri in pronto soccorso per problematiche acute alcolcorrelate sono aumentati del 12%. I sintomi da intossicazione alcolica sono direttamente correlati con l’alcolemia.
Livelli superiori ai 50 mg/ml (0,5) determinano importanti alterazioni comportamentali. Comunque sia, anche un’alcolemia inferiore al valore legale, in particolari momenti della giornata provoca alterazioni comportamentali in conseguenza alle condizioni dettate dal ritmo circadiano. Le malattie alcolcorrelate riguardano qualsiasi distretto corporeo. Nonostante la sua sottovalutazione, il bere -anche moderato- porta ad alterazioni epatiche. Una maggiore assunzione di alcol determina il passaggio da un fegato normale ad un fegato steatosico in una percentuale di casi compresi tra il 90 e il 100%. Lo stato di steatosi epatica è reversibile e prevede un recupero del fegato dopo poche settimane di astensione assoluta da alcol. La continuazione dell’assunzione di alcol comporta un passaggio obbligato alla fase di steato-epatite (dove la reversibilità è più improbabile per via della componente fibrotica delle cellule stellate) e quindi di epatite alcolica nel 10-35% dei casi, a cirrosi nel 8-20% dei casi; l’epatite alcolica degenera frequentemente (40%) in cirrosi, anticamera dell’epatocarcinoma.
Non è solo l’alcolismo a determinare i processi degenerativi del fegato quanto, piuttosto, abitudini consolidate e normalizzate ad un utilizzo cronico piuttosto che a binge (ad abbuffata) di alcol, abitudini altamente rappresentate all’interno della popolazione. Infatti, sono sufficienti assunzioni continuative anche di basse quantità di alcol in soggetti geneticamente predisposti piuttosto che con abitudini di vita considerate fattori di rischio (fumo di sigaretta, dieta ipercalorica, ecc.) a determinare in molti casi la compromissione epatica. Studi scientifici hanno determinato che l’assunzione di 50 grammi di alcol al giorno -pari ad un bicchiere di vino circa- aumentano di 160 volte il rischio di cirrosi in soggetti positivi all’epatite C.

Dott. Pesce, responsabile Ser.T Ponente ASL 3 genovese

Il relatore ha sottolineato la percentuale altissima di poliabusatori, soprattutto per quanto concerne l’associazione di alcol a droghe e in particolar modo alla cocaina ed al crack. L’assunzione contemporanea dell’alcol con i derivati della coca, determinano lo sviluppo di metaboliti tossici che aumentano le sensazioni ricercate dagli assuntori. Il 20-30% dei ricoveri ospedalieri totali è ascrivibile a patologie alcolcorrelate. In seguito all’ospedalizzazione, al fine della disintossicazione, necessiterebbero interventi integrati tra cui comunità residenziali per problemi legati all’uso di alcol, realtà scarsamente rappresentata in Italia.

Dott.ssa Ducci, responsabile Ser.T Valbisagno-carcere ASL 3 genovese

Il problema dell’alcol andrebbe affrontato a partire dalla sua produzione, dalla pubblicità che lo riguarda, per finire con chi lo vende. L’informazione dell’educazione dei giovani è messa fortemente in difficoltà dalla separazione di alcol e droghe per ciò che concerne la loro legalità. Infatti, mentre il concetto di droga rimanda a qualcosa di negativo, quello di alcol è comprensivo di valenze tanto positive (vale a dire il cosiddetto “bere sano”) quanto negative (il “bere cattivo” e l’alcolismo). Si pensi che un quarto dei decessi che riguardano giovani di età compresa tra i 15 e 29 anni è determinato dall’uso di alcol. Il problema della sensibilizzazione è enorme ed implica difficoltà nel parlare dell’alcol ai giovani ed ai figli. L’alcol infatti spesso viene mitizzato: esso aiuta ad affrontare lo stress, ha un potere magico e il suo uso è fortemente influenzato dal gruppo dei pari, dai modelli culturali stereotipati d’immagine e di successo, dall’insegnamento e dalle abitudini delle generazioni precedenti.
Il Ser.T di Marassi segue ogni anno circa 700-750 detenuti tossicodipendenti. La nuova legge in materia di sostanze stupefacenti mette il Ser.T in condizioni di poter determinare tre diagnosi differenti: abuso, tossicodipendenza, abitualità all’uso di sostanze stupefacenti. Mentre le prime due diagnosi erano quelle da sempre utilizzate, l’abitualità è il nuovo parametro che prevede una diagnosi personologica in cui vengano considerati gli elementi comportamentali, le risorse e le criticità della persona.

Dott. Bermano, servizio 118 – Liguria Soccorso

Il servizio di soccorso pubblico del 118 ha riscontrato negli ultimi anni una drastica diminuzione delle chiamate per overdose da droghe ed un aumento degli interventi per situazioni correlate all’alcol.

Dott. Monteverde, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Genova

Il carcere, inteso come struttura detentiva chiusa, venne introdotto nel Settecento successivamente alle pene corporali fino ad allora adottate nei confronti dei rei. Nel 1975 c’è stata una vera e propria trasformazione del nostro sistema sanzionatorio. In quell’anno, infatti, vennero introdotte misure quali l’affidamento ai servizi sociali, la semilibertà, la detenzione domiciliare, che determinarono uno stravolgimento di quello che fino ad allora veniva inteso come il sistema detentivo chiuso. La finalità di tale riforma prevedeva, oltre all’alleviare dal sistema carcerario, una maggiore integrazione sociale per i soggetti interessati dalle esecuzioni penali. Il sistema sanzionatorio vedeva così, successivamente alle sentenze di primo e secondo grado, ed a quella eventuale della Cassazione, la determinazione di una pena e di una misura alternativa. La legge Gozzini ha solo modificato e migliorato il sistema delle misure alternative. La successiva legge Simeone Saraceni del 1998, ha sconvolto il sistema da sempre esistente. Essa infatti prevedeva la possibilità di modificare la pena prima dell’inizio dell’esecuzione stessa, vale a dire la sostituzione alla pena di una misura alternativa.
Le sentenze emanate dal giudice (quelle che, per così dire, si leggono sui giornali o si ascoltano dai media) sono pene virtuali: la decisione reale, effettiva, viene infatti decretata dal Tribunale di Sorveglianza. Nel 2005 il Tribunale di Genova ha trattato 1317 misure alternative; di queste 1119 sono state concesse a persone condannate al carcere e mai entrate nell’istituto di pena per un solo giorno. Solo le rimanenti 198 sono state concesse a persone già detenute in carcere. Oggi, sono circa 35000 i detenuti alloggiati delle carceri italiane e 50000 quelli in misura alternativa. In Francia questa proporzione è ancora più a favore di quelli in misura alternativa. Purtroppo, le pene alternative, oggi non sono del tutto effettive in Italia. Le condanne infatti sono strutturalmente deboli e per essere efficaci dovrebbero essere seriamente applicate e controllate. Una pena dovrebbe essere in grado di avviare alla rieducazione ed avere un contenuto retributivo, risarcitorio e riparativo, tanto per le vittime quanto per la collettività. Se le misure alternative venissero realmente applicate, funzionassero realmente nel rieducare una persona e contenessero gli elementi della pena, non servirebbero progetti di amnistia come oggi proposti, ma basterebbe applicarle a chi è già detenuto. Necessita inoltre un accorciamento dei tempi compresi tra la commissione del reato e l’esecuzione della pena corrispondente. La legge parla di 45 giorni in cui la giustizia deve emettere il decreto di condanna, tempi assolutamente disattesi. Esistono così casi in cui per sette anni la persona rimane libera in attesa di un’applicazione della pena il ché, oltre alle ovvie ricadute a livello di pubblica opinione, fa sì che il reo vada incontro al rischio di commettere altri reati, di perdere il significato e il nesso di causalità tra il reato commesso e la misura inflitta, per non tener conto dei casi in cui, durante questo periodo, la reintegrazione sociale del reo può essere già avvenuta in modo naturale.

Dott. Cozzi, Procuratore Aggiunto della Repubblica, Genova

Nel 2005 la Procura della Repubblica di Genova ha iscritto 1536 procedimenti riguardanti gli articoli 186 e 187 del Codice della Strada; di questi: 829 per guida in stato di ebbrezza e 707 per guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Dal 2003 la competenza è nuovamente tornata al Tribunale. Ciò ha fatto sì che non siano più previste le misure del Giudice di Pace comprendenti la pena pecuniaria, la permanenza domiciliare, i lavori di pubblica utilità. Conseguentemente, i provvedimenti applicati sono quelli dell’ammenda (dai cento ai mille euro circa), dell’arresto e dalla sospensione della patente di guida.
La guida in stato di ebbrezza non ha una vittima specifica, se non la collettività. Tra le pene accessorie introdotte nel 1994 e successivamente modificate dalla normativa del 1997, il lavoro di pubblica utilità rappresenta l’alternativa o meglio la misura sostitutiva alla pena pecuniaria piuttosto che ai giorni di libertà controllata. La nuovissima legge sulle droghe (cosiddetto decreto Olimpiadi) prevede che la detenzione e lo spaccio di lieve entità di sostanze stupefacenti per soggetti tossicodipendenti, venga punita con il lavoro di pubblica utilità in settori specifici e già determinati dalla precedente legislatura (quella valida per il Giudice di Pace). Questi settori riguardano i servizi alla persona (assistenza sociale, volontariato, minori, tossicodipendenti, portatori di handicap, ecc.) o inerenti la salvaguardia dell’ambiente e del territorio (servizi di protezione civile, calamità naturale, boschi, foreste, flora, fauna, spiagge, beni culturali, spazi urbani). Purtroppo i lavori di pubblica utilità non vengono applicati. La legge prevede che essi debbano essere chiesti dal condannato e sono disciplinati anche per ciò che concerne le ore massime spendibili in tale attività (non più di due ore al giorno, massimo tre volte alla settimana per un totale di 6 ore massime a settimana, eventualmente accorpabili). Il controllo di questa attività è affidato all’ufficio dell’esecuzione della pena esterna (UEPE), vale a dire il vecchio -e meglio conosciuto- Centro Servizi Sociali Adulti (CSSA). La violazione del lavoro di pubblica utilità da parte del soggetto interessato (ad es. l’assenza non giustificata, il non adempimento al lavoro, ecc.) comporta la conversione del residuo di pena (la differenza tra il tempo già sofferto dall’inizio dell’esecuzione, e quello ancora rimanente al fine pena) nella reclusione. Allo stato attuale, non è prevista l’applicazione dell’ulteriore pena che prevedeva fino ad un anno di reclusione, precedentemente applicata nella normativa inerente il Giudice di Pace. Da quando è stato istituito il lavoro di pubblica utilità come misura alternativa alla pena, questo è stato applicato pochissime volte. In tempi più recenti non si riscontrano ulteriori applicazioni, anche per la relativa disponibilità delle associazioni che tramite gli Enti Locali possono aderire ai progetti (pubbliche assistenze, organi di volontariato, ecc.).
Gli articoli 186 e 187 del C.d.S. prevedono il lavoro socialmente utile come alternativa alla pena pecuniaria, a sua volta già sostitutiva, per conversione, dell’arresto. In tal modo, ad esempio, una persona incensurata con un tasso alcolemico superiore al limite legale che si trova alla guida di un veicolo, può essere condannata a venti giorni di arresto e settecento euro di ammenda. Questi parametri variano in base a criteri che si avvalgono, tra l’altro, delle reazioni comportamentali del reo (danni a cose o a persone, reazioni verso le forze dell’ordine, ecc.). Il reo può fare richiesta di conversione dell’arresto in pena pecuniaria, calcolata in 38 euro al giorno. Qualora lo stato di indigenza fosse tale da non poter pagare tale somma, può essere richiesta la conversione in lavori di pubblica utilità.

Dott. Marco Cafiero, avvocato penalista del Foro di Genova

Ciò che il relatore ha maggiormente voluto sottolineare è il significato rieducativo della pena, rispetto alla sezione, pur garantendo la sicurezza che i cittadini richiedono. L’aspetto educativo di una pena deve prevedere innanzitutto la risocializzazione. Gli articoli 186 e 187 del C.d.S. prevedono un reato di pericolo e non di effettivo danno; il ché crea ulteriori difficoltà nell’interpretazione e nel chiarire determinati concetti. Infatti, il pericolo crea un allarme sociale che va ad incidere sulla sicurezza. Sono aspetti su cui la gente, vale a dire la collettività, la cittadinanza, chiede chiarimenti. La sicurezza sociale prevede misure sanzionatorie e di conseguenza la riduzione della rischio di recidiva.
L’adeguamento ai parametri europei ha portato alla determinazione di un ridotto tasso alcolemico ad un’intensificazione dei controlli, a sanzioni adeguate e in linea con i paesi dell’Unione. L’aspetto educativo non può prevedere solo il risarcimento del danno: il concetto di giustizia riparativa non deve essere solo nei confronti della vittima del reato ma anche di chi il reato lo compie. Il tutoring che prevede l’azione di figure di controllo all’interno dei servizi sociali e quindi del Tribunale di Sorveglianza, non deve e non può essere un semplice controllo della persona circa la pena, ma anche un elemento che permetta la reale educazione della persona circa i rischi, la conoscenza delle regole stradali, dei danni fisici, sociali, economici, ecc.. L’articolo 73 comma 5 bis che viene applicato per una serie di reati, tra cui quelli legati al consumo di sostanze stupefacenti, prevede la misura del lavoro di pubblica utilità. I soggetti interessati dal provvedimento sono, per esperienza, persone con un curriculum giudiziario pesante, tanto da non poter usufruire della sospensione condizionale della pena. L’assurdo della legge consiste nel fatto che queste persone possano svolgere servizi all’interno delle stesse strutture previste dal DPR 309/90 (Testo Unico in materia di sostanze stupefacenti) quali, ad esempio, le comunità terapeutiche; in questo caso, le stesse persone potenziali utenti dei servizi, si troverebbero all’interno di essi con un ruolo ben diverso. La necessità di un contenuto educativo e riparativo per chi si mette alla guida di un veicolo in modo del tutto irresponsabile (Art. 186 e 187) è fondamentale. In questi casi, il risarcimento non è un elemento rieducativo ma puramente funzionale.

Dott. Ferranini, direttore del Dipartimento di Salute Mentale ASL 3 genovese

La tavola rotonda prevedeva il seguente titolo: “proposte e idee, al servizio di una nuova consapevolezza per istituzioni, operatori, cittadini”. Il relatore ha da subito sottolineato da difficoltà dell’equilibrio tra questi tre elementi: istituzioni, operatori, cittadini.
Anche da un punto di vista clinico, i tempi molto elevati tra la commissione del reato e l’esecuzione della pena, determinano delle problematiche, esattamente come avviene ogni qualvolta trascorra troppo tempo tra l’insorgenza di una patologia e la sua diagnosi o tra quest’ultima e l’inizio della terapia. I tempi dovrebbero pertanto sempre essere adeguati. La colpa, nel reo, non è sempre interiorizzata. La riparazione del danno verso se stessi è un concetto fondamentale. Infatti l’utilità sociale non è tanto nel “fare le cose” quanto nel “come” vengono fatte; il senso deve essere messo dal reo nelle cose che fa e non dagli altri.
La responsabilità del reo va mantenuta e non è possibile sempre attribuire ad esso l’incapacità di intendere e volere; un atteggiamento di questo tipo, ovvero paternalistico, del tipo: “poverino, non capiva”, non permetterebbe infatti neppure la possibilità di accettare l’idea di riabilitazione, né ancor meno, per il soggetto interessato, la possibilità di un’interpretazione ed interiorizzazione della pena.
Anche per quanto concerne gli articoli 186 e187 del C.d.S., è difficile che il reo riesca a mettere in relazione il fatto accaduto e il danno provocato; così facendo non riesce neppure ad interiorizzare la condanna.
Altro punto fondamentale è la valutazione di certi comportamenti considerati talora normalità, talora devianti. È il caso degli alcolisti, dei cocainomani e dei farmacofilici, cosiddetti criptati, ovvero che non assumono forme visibili di disagio e che non hanno paradigmi forti di patologia pur essendone portatori (patologie sotto soglia).
C’è da chiedersi a questo punto se esista una sanzione che preveda anche la cura e che cosa si intenda per cura. Il reo, oltre ad essere indirizzato verso i servizi (Ser.T e centri di salute mentale) in modo più o meno coatto (TSO), serve anche che capisca la responsabilità del gesto, verso sé stesso e verso la società. Questi due elementi sono direttamente correlati in quanto il senso di responsabilità parte sempre da sé stessi e passa, poi, verso l’altro (ovvero la società) per mezzo di un processo mentale di interiorizzazione.
Le comorbidità, le doppie diagnosi, in realtà hanno una diagnosi unica di tipo psichiatrico: esse sono disturbi di personalità che prevedono una impulsività di base che comporta, ad esempio, l’uso di sostanze psicotrope.
Infine bisogna prender consapevolezza dell’utopia della realtà. Ciò vale per tutti coloro che operano in ambito sociale (operatori dei servizi, medici, legali, forze dell’ordine); bisogna stare, in un certo modo, con i piedi per terra, ma percepire anche le ambivalenze e le contraddizioni in modo tale da poter introdurre degli elementi di cambiamenti positivi partendo da queste stesse contraddizioni. I cambiamenti, così, possono riguardare le norme, i servizi, le cure.