Dalla devianza ai comportamenti criminali
È senza dubbio esperienza comune aver sentito nella propria vita indicare qualcuno in uno dei seguenti modi: “è un ragazzo difficile”; “è una persona problematica”; “è un disadattato”. A prescindere dall’elemento giudicante che caratterizza tali espressioni e dalla probabile mancanza di un criterio analitico scientifico dei contesti in cui vengono comunemente -mal- utilizzate (scuola, pettegolezzo, ecc.), esse contengono generalmente un fondo di verità. Esperienza comune di chi studia le dinamiche psicosociali di un gruppo di persone, di una determinata categoria, piuttosto che dell’intera società, è che i contesti sociali fortemente devianti (rintracciabili in determinate famiglie, all’interno di gruppi formatisi all’interno della scuola, del quartiere, di determinate compagnie) costituiscano il substrato per l’instaurarsi di situazioni problematiche se non chiaramente patologiche nei componenti subentranti (figli e nipoti, all’interno della famiglia; nuovi membri all’interno  dei gruppi). La sequenza, cronologicamente intesa, ragazzi difficili – comportamenti devianti – persone problematiche – è purtroppo, spesso -ma non sempre!- confermata. L’intervento di alcuni elementi è a volte in grado di modificare il corso degli eventi. Per tale motivo interventi che potremmo definire in modo generico “educativi” -e in tempi successivi “rieducativi”- mirano a modificare il corso degli eventi.

Gli elementi di tipo ambientale maggiormente determinanti disagio e quindi situazioni a rischio di devianza sono da ricercarsi all’interno del gruppo di origine (all’interno della famiglia, delle figure di accudimento -caregiver-). Essi consistono in:
– comportamenti devianti già presenti (spesso associati a problematiche psichiche, all’abuso di alcol e droghe)
– contesto delinquenziale (spesso, ma non sempre, associato all’indigenza e alla precarietà lavorativa ed abitativa)
– privazione affettiva, contesto indifferente, svalutativo, castrante
– incoerenza comportamentale (discrepanza tra messaggi ed azioni).

Parallelamente all’imprinting di tipo ambientale, a determinare la vulnerabilità psichica è una predisposizione di tipo biologico (su base genetico-famigliare, a carattere ereditario o acquisito) come dimostrato dai vari studi su gemelli omo- ed eterozigoti nonché sui figli adottivi. Per le patologie psichiatriche una componente determinante è quella biologica, mentre il contesto ambientale è solo parzialmente significativo. Per ciò che riguarda la devianza (intesa come l’insieme di comportamenti abnormi) l’influenza della componente patologica biologicamente intesa è ridotta rispetto a quella ambientale, ed è pertanto il contesto ambientale determinante per l’instaurarsi di determinate dinamiche. Alcuni disturbi (in particolar modo i disturbi d’ansia, della personalità e del comportamento alimentare) si collocano a cavallo tra i due gruppi, essendo maggiormente determinanti, diversamente da caso a caso, la componente biologica (ad esempio per la presenza di un deficit cognitivo di base) piuttosto che quella ambientale (ad esempio la forte incidenza di traumi psicologici ed eventi stressanti).

In questi casi è utile un intervento di sostegno psicologico e spesso anche pedagogico che veda, quando possibile, il coinvolgimento della famiglia.